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Storia della legislazione della canapa in Italia fino ad oggi

Le Leggi in Italia sulla coltivazione e il consumo per tutti gli usi della canapa cosa dicono? Come si è arrivati fino a qui?

Ne parliamo con l’avvocato Stefano Pillitteri.


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Storia della legislazione della canapa in Italia

L’avvocato Stefano Pillitteri è un estimatore della canapa fin dai tempi non sospetti, aveva già capito cos’era davvero la canapa. Da dove nascono i pregiudizi sulla canapa? Da una demonizzazione che è stata fatta a inizio secolo scorso in America, di cui già abbiamo in parte parlato. Nel 1937 una legge rende inaccessibile la coltivazione di questa pianta, che ostacolava il business del cotone e delle cause farmaceutiche.

Cannabis: la normativa in Italia nel corso dei decenni

In Italia il consumo di cannabis ha iniziato a diffondersi nel dopoguerra, con l’arrivo degli americani, proprio perché in America veniva invece già coltivata da moltissimo tempo. Dal punto di vista squisitamente giuridico, ci si incomincia a occupare di droghe in termini sanzionatori e penali nel 1923, nell’era fascista.

La legislazione del ’23 si occupava però delle droghe pesanti, come cocaina ed eroina che erano utilizzate in ambienti molto ricchi e intellettuali fin dall’inizio del ‘900. Era un uso che costituiva già un fenomeno sociale e, in quanto tale, fu oggetto delle mire del legislatore di allora e penalmente sanzionato.

La norma entrò nel Codice Penale che, a sua volta, venne modificato nel 1937: la canapa ancora non rientra tra le sostanze considerate droganti. Ci si incomincia ad occupare di canapa solo con la legge sugli stupefacenti del 1954, perché in quel periodo il consumo di cannabis si diffonde maggiormente. Già questa prima legge era fortemente proibizionista.

Si continua poi a parlare in termini giuridici di canapa nel 1975, con una legge che si trascina in parte ancora fino ad oggi. Questa legge introduce il principio che se la quantità di droga (non veniva fatta distinzione tra pesante e leggera) detenuta era esigua, si trattava di uso personale e non rappresentava un problema.

La legge del ‘75 rimase in vigore per 15 anni, dopodiché viene sostituita con la legge del 1990, diventata in seguito un testo unico che accorpa tutte le norme attive relative agli stupefacenti. Si tratta di una norma assolutamente figlia del suo tempo, perché nel 1990 spirava fortissimo un vento neoproibizionista. Dalla fine degli anni ’80 si incomincia ad assistere ad una crescita del consumo di stupefacenti e come ricetta per contrastarla si introdussero pene particolarmente severe e si decide di criminalizzare e sottoporre alla legge penale anche i consumatori.

È un orientamento datato, necessita di revisioni, perché le leggi si devono valutare soprattutto su quella che è la loro efficacia. E la legge del 1990 non funzionò, perché contribuì ad aumentare il consumo di droghe e a favorire l’industria del crimine ad essa correlata. Con il proibizionismo si è ottenuto dunque l’effetto opposto, ma in Italia si finge che non sia così. Nel nostro paese rimane aperto l’interrogativo sulle droghe leggere, che sono le sostanze di più ampio consumo.

Il testo unico n.309 del 1990 aveva un articolo chiave, il 72, che prevedeva il divieto di detenzione, cessione e consumo di sostanze stupefacenti. Questa legge non dà però la definizione di sostanza stupefacente ma si limita a rimandare alle tabelle governative.

Anche in questa norma c’è una visione proibizionista e criminalizzante del consumo e durò poco meno di tre anni. Nel 1993 ci fu un referendum che abrogò l’articolo 72 e quindi la punibilità dei consumatori. Si andò così a ridisegnare la normativa che prevede per spaccio e detenzione di droghe pesanti una pena fino a 20 anni, mentre per la cannabis la pena massima è fino a 6 anni. Sono comunque pene da non sottovalutare, che diventano particolarmente intense dove ci sono fenomeni gravi come l’associazione a delinquere finalizzata a spaccio.

Dopodiché cosa succede? Nel 2006, quindici anni dopo la legge originaria e con un’impostazione ultra proibizionista, interviene una nuova modifica. In questi anni si matura la consapevolezza che quest’impostazione non funzione e non serve a far diminuire il consumo. Anzi, ha creato dei danni collaterali, ad esempio molti giovani finiscono in carcere per piccole quantità di hashish. Purtroppo però il legislatore del 2006, con la legge Fini, reintroduce una nuova impostazione proibizionista, dove addirittura scompare la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Dietro a ciò c’è un’ispirazione ideologica di una certa politica, che afferma che “tutte le droghe sono droghe, bisogna proibirle per non favorirne il consumo!” 

Nel 2013 interviene nuovamente la Corte Costituzionale che abroga buona parte della legge Fini, reintroducendo le pene ridotte per le cosiddette droghe leggere e reintroduce le tabelle che classificavano i diversi tipi di droghe. Oggi ci troviamo quindi in questa configurazione, nonostante ancora ritornino delle ondate di proibizionismo di natura fortemente ideologica e propagandistica.

La legislazione italiana sulla cannabis: uno sguardo al futuro

Il proibizionismo totale non sta più attecchendo per fortuna a livello di opinione pubblica, anche perché in tutto il mondo si stanno rivedendo le politiche riguardanti le droghe leggere, anche negli Usa. Invece in Italia è un dibattito che non si può fare a livello politico e sembra che si stia sempre un passo indietro. Il nostro paese dovrebbe riuscire ad affrontare questo tema con buonsenso e laicità, con l’obiettivo di togliere i più giovani dal circuito dello spaccio, che di fatto è ciò che può portare all’uso di sostanze pesanti molto pericolose.

Il “peccato originale” del discorso è aver definito la pianta della canapa una droga, quando solo uno dei più di 80 cannabinoidi dà un effetto leggermente alterante. Tutta la pianta è inserita in un settore drogante, quando in realtà non è così. Anche gli stessi medici spesso non conoscono gli effetti di tutti i cannabinoidi, nonostante i molteplici studi scientifici.

Si fa fatica a comprendere il furore proibizionista, perché il proibizionismo è fallito e questo è un dato inconfutabile e quando qualcosa fallisce bisogna cambiarlo! La droga è una tematica che ha un portato emotivo molto forte ma questa demonizzazione non può andare a coprire anche la cannabis, che non ha gli effetti delle droghe pesanti, non è allucinatoria né crea dipendenza.

La mancanza di cultura sulla cannabis è stata strumentalizzata anche da parte della politica. Una sentenza della Corte di Cassazione del 2019 ha stabilito che non importa la % di THC sia sotto lo 0,5: va verificato caso per caso che non ci sia efficacia drogante. Ovviamente è un’affermazione assurda, la sentenza è molto vaga: a livello legislativo, il mondo della cannabis vive un po’ sulle sabbie mobili.

Nel 2016, una legge apre alla commercializzazione ma anche questa normativa che era proprio il minimo sindacale ha iniziato a essere osteggiata dalla giurisprudenza, dall’AIFA e da una certa politica.

La speranza è che, con il diffondersi dell’informazione, si sblocchi qualcosa a livello di opinione pubblica. Ma sarà difficile, perché viviamo purtroppo ancora di pregiudizi e da 100 anni siamo nelle mani delle industrie farmaceutiche, che hanno potenziato sempre di più la loro egemonia mettendo in ombra rimedi fitoterapici.

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